L’uomo al centro del mondo: apáte, kátharsis e mímesis nella visione sferica
Introduzione
La recente comparsa di tecnologie a basso costo nate per consentire la fruizione di mondi virtuali a 360º, siano esse attraverso un HDM (head mounted system, es: Oculus Rift), il web (YouTube, html5) o schermi panoramici, comporta la progressiva massificazione di un fenomeno non nuovo, ma che da sempre viaggia invece intimamente connesso all’uomo e alla sua necessità di imitare la realtà: la realtà virtuale. In questo particolare momento storico ci ritroviamo davanti a un fenomeno non ancora esploso nelle sue effettive potenzialità, ma che dagli anni ‘60 del Novecento si prepara per diventare il prossimo mass medium, e che inizia a muovere i primi passi per raggiungere ogni singola persona: mentre gli headset si fanno più economici, artefatti relativamente semplici come la Google Cardboard permettono a qualsiasi persona con uno smartphone di convertire il loro strumento in un dispositivo di visione stereoscopica. In questo articolo voglio mettere in evidenza il primo addattamento estetico generato dalla fruizione di ambienti a 360º nel corso degli anni: la collocazione del fruitore al centro dell’asse visuale. Con il fruitore collocato al centro del corpo virtuale mi propongo di capire le tre derivazioni del processo percettivo proposto dai sofisti: apáte, kátharsis e mímesis.
I
La vera rivoluzione nella costruzione di mondi a 360º e nella loro fruizione è la collocazione dell’utente: al centro, in un punto dal quale può muovere la testa e osservare il mondo, così come avviene nella vita reale. L’esperienza risiede nell’immedesimazione di chi si ritrova nel “nuovo mondo”. Questo tipo di visione non è particolarmente nuova: nel suo libro The Panorama: History of a Mass Medium, Stephan Oettermann accennava che il principio di base del panorama consisteva nell’appropriazione visuale della natura, concetto presente nella natura della realtà virtuale stessa, che tuttavia lavora nello sviluppo di una realtà simulata anche attraverso altri sensi, quali l’udito e il tatto. Ed è proprio questo desiderio dell’uomo di appropriarsi della natura ciò che unifica i tentativi precedenti, che iniziano già nella prime rappresentazioni pittoriche di scene quotidiane nelle caverne.
Nel 1787 Robert Baker brevetta il Panorama, chiamato inizialmente La nature a coup d’oeil, una pittura paesaggistica sferica, dove lo spettatore veniva situato al centro e da lì poteva camminare osservando il dipinto intorno a sè. Nello stesso periodo nasce anche il Panopticon, un carcere dove utilizzando effetti di luce i prigionieri potevano essere costantemente osservati da una torre di controllo situata al centro della costruzione. Questi due invenzioni appaiono in piena rivoluzione industriale, in un momento in cui si viveva anche una specie di rivoluzione della visione: erano nati i primi binocoli e microscopi, e con l’apparizione della mongolfiera e la costruzione dei belvedere, il concetto di orizzonte, tanto apprezzato da Goethe, cominciava a essere elaborato dall’uomo comune. Il modo in cui l’uomo osservava il mondo intorno cambiava radicalmente. Nel secolo seguente, il panorama divenne uno strumento indispensabile per la geografia, più utilizzato delle stesse mappe: “mentre la lettura di una mappa è una tecnica che viene imparata, chiunque con alcuni anni di istruzione elementare può capire un panorama”; inoltre, ciò che rendeva vincente il panorama sulla mappa era la possibilità che offriva di rivivere l’esperienza di trovarsi sulla vetta. Anche oggi, con i più avanzati sistemi di realtà virtuale, non c’è dubbio che quello che attira l’attenzione è precisamente la possibilità di vivere un’esperienza che sembra reale.
Come il panorama e il panopticon situano il fruitore al centro dell’opera in modo che questi possa scoprirla nel suo complesso, o gli affreschi che raccontano storie nelle chiese italiane, non penso sia una casualità che Wladyslaw Tatarkiewicz apra l’introduzione del suo libro Storie di Sei Idee, con Giovanni Pico della Mirandola, presente nel suo Discorso sulla dignità dell’uomo (1486) “Ti ho posto al centro del mondo, affinché con maggiore facilità tu possa guardarti intorno e vedere ciò che è. Ti ho creato come essere né celeste né terreno [...] affinché tu possa da solo formarti e superarti.” E pare infatti sia Pico della Mirandola il primo a situare l’uomo al centro di una visione a 360º della conoscenza del mondo, seguito da Giulio Camillo Delminio, che nel suo Teatro della Memoria (1550) cercava di ordinare tutta la conoscenza dietro immagini mnemoniche provenenti dalla mitologia in modo che dal centro lo spettatore avesse accesso visivo all’informazione. Questo sistema di organizzazione della conoscenza del mondo molti lo riconducono al web semantico, che collega i dati attraverso metadata che richiamano al loro significato.
Lo stesso termine di panorama, nato inizialmente per designare una nuova espressione pittorica, la cui caratteristica principale era la circolarità, è diventato nel linguaggio comune una metafora di “visione olistica” in generale. Tanto nell’oggetto artistico come nella metafora si mantiene però il presupposto che l’uomo viene situato al centro della visione in modo che possa senza disturbi analizzare l’informazione che gli viene offerta dall’esterno.
II
La rivoluzione nel paradigma della fruizione, dove il fruitore viene situato all’interno di un ambiente virtuale, pare avvicinarsi sempre di più, con la comparsa di progetti artistici a 360º multi dispositivo, usufruibili attraverso Youtube, visori per smartphone o Oculus Rift. Un esempio notevole è Dreams of Dalí (Fig 1), una rappresentazione - in questo caso interamente generata al computer - dell’universo artistico di Dalí. Anche se il mezzo di fruizione cambia considerevolmente la capacità d’immersione dello spettatore (non è lo stesso utilizzare un headset e muoversi nello spazio ruotando la testa o muovere l’immagine usando il mouse) dal punto di vista della creazione il punto di partenza è sempre lo stesso. Come un’arte nuova e in evoluzione, questi progetti audiovisivi vengono creati a partire dai concetti del linguaggio cinematografico tradizionale, ma le differenze fra un mezzo e l’altro spingono verso la creazione di un linguaggio proprio. A tal riguardo Roberto Diodato, nel capitolo The Virtual Actor-Spectator del suo libro Aesthetics of Virtuality, presenta una riflessione sulle diverse narrazioni nella realtà virtuale e le mette in contrasto con il cinema stesso, dove d’immediato sorge il problema del punto di vista. Diodato concepisce il cinema come il culmine della prospettiva e della estrema oggettivazione del punto di vista che crea una distanza fra lo spettatore e l’opera. Questa distanza tanto fisica quanto cognitiva permette la contemplazione della diegesis, mentre l’immedesimazione dello spettatore risiede nella sua identificazione con la storia, e questa, come in letteratura, è compito della narrazione.
Nella visione a 360º, invece, il fruitore è circondato dall’ambiente virtuale e si ritrova immerso nell’universo narrativo, soprattutto se l’esperienza si sviluppa con l’utilizzo di un headset, dove l’occhio - e la pshiche - si trovano letteralmente prigionieri nell’altrove. La distanza fisica che esiste fra lo schermo e l’occhio sparisce, e la mente umana si ritrova in un ambiente virtuale che richiede non solo la sua capacità cognitiva ma anche quella fisica all’interno della sfera. In questo senso Barker aveva già anticipato una riflessione molto azzeccata su ciò che sarebbe accaduto più di un secolo dopo con l’avvento della realtà virtuale, riferendosi al suo panorama: Non è magia; la magia non può, in modo più efficace, illudere l’occhio, o indurre la credenza della reale esistenza degli oggetti. Esiste una specie d’infinito in forma di circolo, che esclude un inizio e una fine; esiste una specie di realtà che sorge dalla capacità dello spettatore di ispezionare ogni singola parte a sua volta; e di ritornare a un evento o all’altro, dopo aver contemplato i luoghi e gli effetti delle differenti parti del circolo. Tale analisi ha rappresentato uno dei primi passi nella comprensione dell’evoluzione del processo percettivo del fruitore di quest’arte visiva sferica.
Il processo percettivo e i fenomeni legati all’esperienza dell’arte, in particolare delle arti verbali, è stato diviso dai sofisti - sotto il pensiero di Gorgia - in tre tipologie: apatetica, catartica e mimetica. La teoria apatetica o illusionistica agisce per mezzo dell’illusione al fine di persuadere lo spettatore che gli eventi a cui assiste sono reali a tal punto da suscitare in lui sentimenti. Questa teoria coincide con i concetti di Presence e Flow, entrambi utilizzati nell’ambito dello Interactive Digital Storytelling. Il primo termine pertinente al campo della realtà virtuale è collegato alla sensazione di stare nello storyworld; il secondo termine è connesso alla misura del divertimento nei media e consiste in quello stato in cui i fruitori sono talmente assorbiti dall’attività che tutto il resto perde importanza. Tutti e due i concetti si focalizzano nell’eliminare la distanza fra il racconto e il fruitore: quanto meno il fruitore si accorge di star vivendo un mondo finzionale maggiore è l’efficacia della narrazione e quindi dell’illusione. Per Diodato, pertanto l’immagine digitale non si pone nè come un simulacro della realtà, nè come una copia di essa: il corpo virtuale non rappresenterebbe nient’altro che se stesso. Sebbene questo pensiero sia perfettamente applicabile alle immagini computer generated, mi chiedo se i corpi virtuali creati a partire da riprese dirette della realtà a 360º soddisfino lo stesso requisito. Queste due varianti della creazione di mondi a 360º (computer generated e video 360º) potrebbero rispondere alla antica discussione che divide l’arte secondo il suo rapporto con la natura, fra arti produttive e arti riproduttive.
La teoria catartica che si basa sull’idea che le arti possano aiutare il fruitore a sfogare emozioni come la paura e la commozione, al fine di trovare il piacere, è un’area di studio degna di più osservazione in conseguenza all’apparizione di nuovi prodotti. Trovo curioso, pertanto, che la maggior parte delle narrazioni create per ambienti a 360º siano horror movies (Fig 2). Questo genere approfitta della sensazione di claustrofobia dell’occhio e lo stato catatonico del fruitore - che può soltanto vedere cosa accade ma non reagire - per provocare delle emozioni forti; come nel sogno ci si può liberare solamente svegliandosi, o in questo caso, rimuovendo l’headset. L’effetto catartico probabilmente si ritroverà potenziato dalla realtà virtuale, mentre il generarsi di emozioni ancora più vicine o reali, sperimentate in prima persona e non proiettate su un personaggio, potrebbe in un certo senso abbattere definitivamente un’ultima barriera fra spettacolo-spettatore: quella della psiche. L’autore/programmatore/creatore del mondo virtuale gode di una vasta libertà sulla mente del fruitore, e la vera lotta risiede nel costante dialogo fra programmatore-fruitore.
La discussione sul punto di vista ci permette di avvicinarci all’ultima categoria nella nostra classificazione, la teoria mimetica. Per approcciarci al concetto propongo di suddividere l’oggetto artistico audiovisivo 360º in due componenti: la narrazione e la costruzione del mondo virtuale. Questa divisione permette di comprendere le diverse sfumature del concetto di mimesis. La componente narrativa riguarda una prima concezione di mimesis applicata specificamente alla poesia, nella quale i personaggi esprimono le proprie emozioni e raccontano la storia dal loro punto di vista utilizzando la prima persona. Questa concezione iniziale di mimesis, che riguarda le arti verbali, è applicabile a una narratologia medium-concious per la realtà virtuale. In effetti, il rapporto della teoria mimetica con la poesia, la letteratura e di conseguenza il cinema, si è mantenuto nel tempo e si è fatto molto stretto, trovando un collegamento diretto con la prospettiva, la focalizzazione e la voce nella narrazione. Anche se in un primo momento la prospettiva mimetica pare, in senso narratologico, essere l’unica possibilità offerta ai progetti audiovisivi a 360º, in quanto la camera coincide con l’occhio del fruitore, esistono possibilità alterne all’utilizzo del fruitore-protagonista in soggettiva, com’è il caso di A way to go (Fig 3). Independentemente delle possibilità puramente narrative che ancora dovranno essere esplorate dalla realtà virtuale, il ruolo dello spettatore si ritrova in un punto medio fra due atteggiamenti: lean back (spettatore passivo. es: film) e lean forward (spettatore attivo. es: videogiochi), per coincidere con un nuovo tipo lean in dentro al mondo virtuale, ma anche dentro allo stesso universo narrativo.
Essendo questo universo narrativo, a sua volta, un corpo-immagine, mi permetto di collegare la teoria mimetica con la plasticità del corpo virtuale. In effeti, è stata proprio la teoria mimetica a permettere la possibilità di collegare la poesia alle arti visive. Tale costruzione visuale della realtà virtuale tenta di riprende la concezione inspirata ad Aristotele secondo la quale l’arte imita la realtà, non in quanto copia fedele ma in quanto rapporto libero nel suo confronto con la natura. La discussione circa la produzione o la riproduzione della realtà da parte della realtà virtuale può riportare all’antica opposizione fra arti imitative e produttive. Per Diodato “lo spettatore virtuale agisce in un complesso ambiente sensibile che non è un simulacro, o un’immagine di, dato che i corpi virtuali attribuiscono i loro non-essere ad algoritmi [...] la cui genesi non-biologica è riproducibile”. Precisamente questo non-essere richiama anche la contrapposizione individuata da Platone fra le arti che producono oggetti reali a quelle che producono soltanto immagini di oggetti, finzioni. Se le imitazioni, per Platone, non erano oggetti ma immagini degli stessi, allora un corpo virtuale altro non è che l’immagine di un oggetto, a sua volta prodotto da un linguaggio, ovvero un linguaggio-immagine. La creazione di oggetti irreali, fittizi, che possono o non possono riprodurre cose reali, viene anche spesso collegata al fondamento base della teoria illusionistica: “non è sufficiente produrre un oggetto irreale, è necessario che questo evochi l’illusione della realtà”. Perchè ci sia di conseguenza un’esperienza di tipo illusionistico e catartico, bisogna che si verifichi allora la creazione artistica, in particolare di narrativa.
Per concludere
Cominciano dunque ad apparire e ad essere accessibili alle masse universi narrativi audiovisivi a 360º che situano il fruitore al centro di un mondo senza inizio nè fine, ma che raccontano qualcosa tentando di coinvolgere al massimo le sue capacità psichiche, modellando così la sua esperienza estetica. Con il passare del tempo, la teoria della mimesis, proposta dai greci nella loro divisione del processo percettivo, è stata quella preponderante nell’evoluzione del concetto d’arte - coinvolgendo in questa interpretazione tanto la teoria illusionistica quanto quella catartica. Ciò nonostante, tutte e tre le direzioni possono essere individuate e analizzate all’interno di una realtà che cerca di imitare la sua stessa sensorialità, con l’obiettivo di raggiungere un senso di presenza (apáthe), di generare sentimenti vividi attraverso personaggi e situazioni(katharsis) e di creare un altro mondo possibile, un’immagine reale di un mondo irreale, una realtà virtuale (mimesis). Trovo possibile questa convergenza grazie a un cambio di paradigma che si è formato molto lentamente e in modo quasi impercettibile, e che ci coglie oggi di sorpresa con la sua proposta ultima: la collocazione dell’uomo al centro dell’opera artistica.
Videografia 360
[Catatonic - A VR Experience]. (2016).Catatonic.co. Retrieved 16 March 2016, from http://www.catatonic.co
[Studio AATOAA].(2015, Gennaio 19). A way yo go [Web] /http://a-way-to-go.com/
[The Dali Museum]. (2016, Gennaio 21). Dreams of Dalí [Video] Tratto da https://www.youtube.com/watch?v=F1eLeIocAcU
Bibliografia
Diodato, R. (2012).Aesthetics of the Virtual (SUNY Series in Contemporary Italian Philosophy). State University of New York Press.
Feliciati, P. (2010). Il nuovo teatro della memoria. Informatica e beni culturali in Italia, tra strumentalità e sinergie. Retrieved 18 March 2016, from https://www.academia.edu/771134/Il_nuovo_teatro_della_memoria._Informatica_e_beni_culturali_in_Italia_tra_strumentalit%C3%A0_e_sinergie
Huhtamo, E. (n.d.). Illusions in motion: Media archaeology of the moving panorama and related spectacles.
Mirandola, G. P., & Bausi, F. (2003).Discorso sulla dignità dell'uomo. Parma: Fondazione P. Bembo.
Oettermann, S. (1997). The panorama: History of a mass medium. New York: Zone Books.
Vosmeer, M., Roth, C. & Schouten, B. (2015) Interaction in Surround Video: The Effect of Auditory Feedback on Enjoyment. in Schoenau-Fog, . Interactive storytelling 8th International Conference on Interactive Digital Storytelling, ICIDS 2015, Copenhagen, Denmark, November 30 - December 4, 2015 ; proceedings. Cham: Springer.
Tatarkiewicz, W., & Jaworska, K. (1993). Storia di sei idee: L'arte il bello la forma la creatività l'imitazione l'esperienza estetica. Palermo: Aesthetica edizioni.
Tornitore, T. (2013). Della Narratologia [Versione per Kindle] Genova: Genova University Press
Wolf, W (2011) Narratology and Media(lity): The transmedial expansion of a literary discipline and possible consequences. In Olson, G., Current trends in narratology (pp 145 - 180). Berlin: De Gruyter.